COSA SONO GLI STATI POPOLARI
Il 5 luglio 2020 in Piazza San Giovanni a Roma sono andati in scena gli Stati Popolari, una manifestazione indetta dal sindacalista Aboubakar Soumahoro per raccogliere dal vivo tutte le storie di quelle categorie denominate “Invisibili” che gli Stati Generali promossi dal premier Giuseppe Conte non hanno raccolto.
Stati Popolari: cos’è successo il 5 luglio 2020 in piazza a San Giovanni a Roma?
Sostanzialmente, Aboubakar Soumahoro ha indetto una manifestazione di piazza denominata “Stati Popolari” con l’obiettivo di chiamare a raccolta gli Invisibili non ascoltati dall’attuale politica neanche a seguito dello stretto lockdown imposto a causa del nuovo Coronavirus. L’evento è iniziato nel primo pomeriggio per proseguire fino a tarda sera. Sul palco sono intervenute numerose personalità e associazioni (tra cui i braccianti, Black Lives Matter Roma, i lavoratori della Whirpool, Cosmo e via discorrendo) per raccontare una realtà fatta di precariato, sfruttamento e iniquità.
Chi sono gli Invisibili presenti agli Stati Popolari?
All’iniziativa di Aboubakar Soumahoro hanno preso parte numerose categorie sociali che, negli ultimi anni, hanno visto assottigliarsi i propri diritti: migranti, studenti, giovani lavoratori, braccianti, freelance, italiani senza cittadinanza, neri, donne, artisti, forza lavoro abbandonata (il caso della Whirpool di Napoli) e tante altre.
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Qual è il Manifesto degli Stati Popolari?
Verso il calare del sipario sulla manifestazione, Aboubakar Soumahoro ha promosso il Manifesto degli Stati Popolari. Ecco i punti principali:
- 1. Piano nazionale emergenza lavoro per:
- assorbire tutte quelle e tutti quelli che hanno perso lavoro o che rischiano di perdere lavoro;
- tutelare le lavoratrici e i lavoratori sfruttati e precari (tra cui le partite IVA sfruttate attraverso forme mascherate di rapporti di lavoro subordinati), che negli anni hanno visto smantellare ogni diritto conquistato attraverso lo Statuto dei Lavoratori.
- sostenere e valorizzare il lavoro svolto (per lo più dalle donne) da chi è costretta ad abbandonare la propria occupazione per prendersi cura dei propri cari sopperendo al Welfare State;
- consentire, attraverso un reddito universale, alle persone di non vivere sotto la soglia di povertà e che consenta di non essere ricattabili e costrette/costretti ad accettare lo sfruttamento e condizioni di lavoro degradanti che ledano alla dignità dell’essere umano;
- fornire uno strumento di emancipazione che rende tutte e tutti liberi di vivere una vita dignitosa;
- 2. Piano nazionale edilizia popolare e per l’emergenza abitativa per dare una soluzione alle persone senza casa e per sostenere chi ha difficoltà a pagare l’affitto o le rate del mutuo.
- 3. Riforma della filiera del cibo con l’introduzione della “patente del cibo” per garantire alle cittadine e ai cittadini un cibo eticamente sano e per tutelare i contadini/agricoltori e lavoratori lungo la filiera del cibo (braccianti, riders, magazzinieri, cassieri) dallo strapotere dei giganti del cibo che favoriscono i fenomeni del caporalato in tutte le sue articolazioni (digitali e dei colletti bianchi)
- 4. Riforma delle politiche migratorie:
- 4.1. Emigrazione
- Istituire un Ente di Tutela per le emigranti e gli emigranti italiani spesso costretti a partire all’estero alla ricerca di un futuro migliore. Quest’Ente dovrebbe: (i) accompagnare e tutelare le nostre concittadine e nostri concittadini nel loro percorso migratorio; (ii) favorire processi e condizioni di rientro dignitoso per chi desidera tornare in Italia.
- 4.2. Immigrazione
- Rompere con la politica razzializzante che tende a collegare la migrazione a fenomeni di legalità e sicurezza invece di interpretarli come processi sociali. Quindi la competenza delle Politiche migratorie va assegnato al Ministero delle Politiche Sociale e non al Ministero del Interno;
- Abolire la Bossi-Fini e i decreti (in)sicurezza;
- Regolarizzare tutti gli invisibili con un permesso di soggiorno straordinario per l’emergenza sanitaria convertibile per attività lavorativa;
- Riformare il sistema dell’accoglienza dividendo in accoglienza materiale e accoglienza immateriale;
- Concedere la cittadinanza a chi è nato o cresciuto qui.
- 4.1. Emigrazione
- 5. Piano nazionale per la tutela dell’ambiente e dei nostri territori per una riqualificazione urbana di tutta l’Italia in una prospettiva di giustizia sociale e climatica.
- 6. Piano nazionale per l’applicazione dell’art. 3 Costituzione che:
- rimuova ogni ostacolo all’uguaglianza formale e sostanziale delle cittadine e dei cittadini sul piano economico e sociale rendendoli tutte e tutti veramente uguali;
- riconosca e valorizzi come fonte di ricchezza ogni la diversità della provenienza geografica, dell’orientamento sessuale e religioso, delle diverse forme di abilità fisica e mentale;
- preveda percorsi di inserimento sociale, sanitario (se necessario) e lavorativo per tutte e tutti coloro che abbiano necessità di essere accompagnati nel proprio percorso di emancipazione.
- 7. Piano nazionale per la cultura per crea, veicola e custodire i valori sociali e i principi fondamentali su cui si basa la nostra Repubblica, al fine di consentire:
- il diritto allo studio per tutte e tutti per rendere le cittadine e i cittadini e le cittadine di domani liberi e consapevoli;
- la valorizzazione del prezioso lavoro svolto dalle operatrici e dagli operatori dello spettacolo, dell’arte in ogni sua forma,della musica, etc.
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Considerazioni sugli Stati Popolari
Ogni volta che ho qualcosa da dire, non è semplicemente per mero protagonismo, ma perché credo che un’altra società è possibile. Anche se, spesso, le reazioni non sono quelle che mi aspetto. Sono sempre stato giudicato come un idealista, e in parte è vero: ho i miei ideali, i miei sogni e i miei progetti, che in un contesto diverso avrebbero probabilmente più voci in capitolo. Già da prima della pandemia, invece, la mia, di voce, soffocava.
Quanto successo a San Giovanni ha veramente dell’incredibile, e sono molto contento di esser stato parte di questa macchina di grande espressione di equità sociale. Durante la giornata ho raccolto diverse interviste, sia di persone comuni (studenti, braccianti, operai Whirpool e singole comunità) sia di volti noti (tra cui Diego Bianchi e Aboubakar Soumahoro), per comprendere come mai questo collante sociale finora era inespresso e invisibile.
Anche io avrei qualcosa da dire. E lo avrò sempre finché non popoleremo certe piazze, per affrontare certi discorsi, per dire finalmente che le alternative, a come la vita è oggi, esistono.
Gli Stati Popolari: l’Italia e la contesa per la seria applicazione dei diritti umani
Non ho mai creduto alla fregnaccia secondo cui realizzare i propri sogni è impossibile. Piuttosto, non viene permesso e/o garantito a tutti. E questo, un po’, è figlio di un atteggiamento generazionale che ha radici lontane: in passato c’erano meno diritti, perché oggi bisognerebbe ampliarli? È solo ammazzandosi (socialmente e umanamente) che puoi garantirti la sopravvivenza.
Ecco, questa è una roba abbastanza orrenda, e molte storie (soprattutto silenziose) di abusi sociolavorativi iniziano così. ‘Sta cosa durante gli Stati Popolari non è passata inosservata, tant’è che lo stesso Cosmo ha realizzato un encomiabile intervento che andrebbe trapiantato nel nostro cervello:
“Sono arrivato alla conclusione che il successo è quello che la società sventola davanti agli occhi di tutti per far credere che se uno si impegna ce la fa, che se uno se lo merita può farcela con le sue forze, può avere successo. Tutto questo è falso, questa società non è in grado di premiare tutti, non premia tutti quelli che lavorano e si impegnano. Però c’è un’altra terribile implicazione in tutto questo, se ognuno è responsabile delle proprie fortune, allora ognuno è colpevole del proprio fallimento, se guadagni poco, se sei disoccupato, se sei povero, è colpa tua, perché non ti impegni e quindi non te lo meriti. Questo non è solo un errore, è un orrore, questa è un’ingiustizia spirituale che si aggiunge all’ingiustizia materiale. […] Come siamo arrivati a considerare la povertà come qualcosa di normale?”.
Insomma, il problema è sempre alla radice. E quali sono queste radici? Banalmente, realtà che ti propongono 3 euro lordi per i tuoi servizi, con disponibilità immediata e costante nei weekend, anche dopo che una pandemia ha aumentato la forbice della diseguaglianza economica.
Oppure storie come quelle di Alessia, 38enne cameriera di Villasmundo che, a Open, ha denunciato il continuo sfruttamento a cui era sottoposta dall’industria della ristorazione: “Mi hanno chiesto di lavorare in un locale, come cameriera, per 10 ore al giorno e per 3,50 euro l’ora, senza riposo settimanale e senza contratto. Sono condizioni inaccettabili, basta ho detto di no”.
Ecco, “Ho detto di no”. Non è così scontata ‘sta frase, perché per qualcuno che dice “No”, c’è un altro (disperato o disinibito) che accetta certe condizioni. Sicuro, poi, dopo la quarantena questa situazione si è inasprita ancora di più. “Ho detto di no” dovrebbe essere una frase di default, un mantra da cantare come “Non me lo posso permettere” di Caparezza: qui non stiamo più giocando, in ballo c’è il nostro futuro, pontificato ormai sul precariato. Dire “non vedrò mai la pensione”, oggi, non fa più ridere, ma delinea un quadro abbastanza preoccupante, la cui unica risposta è la coesione sociale: c’è chi si approfitta di una fragilità umana ed economica senza neanche vergognarsi, impariamo a dire di no.
“Durante il lockdown, avevo creato un gruppo WhatsApp in cui chiedevo ai miei colleghi di fare squadra, di non tornare più a lavoro a queste condizioni. Eravamo 70, ora invece siamo rimasti in 3-4 a combattere questa ‘guerra’. Da soli. Tutti gli altri hanno ceduto e, adesso, ovviamente lavorano. Noi no”, continua a raccontare Alessia. Questo è ciò che accade quando abbandoniamo i nostri simili: una sconfitta per tutti.
L’Espresso ha trovato una definizione calzante per definire l’attuale situazione in cui sono coinvolte, soprattutto, le nuove generazioni: gli “ignorati digitali“. Persone dalla formazione continua, dalle incredibili capacità multitasking e da un ottimo spirito d’iniziativa, che la politica però ha dimenticato di chiamare agli Stati Generali. Segno che, purtroppo, è una cultura fisiologica italiana quella di non pensare all’ossatura futura del Paese.
Tra l’altro, questi non sono fatti così rari. Anzi, almeno una volta al giorno mi capita di parlare con persone che ammettono di vivere nel precariato più nero e di non sapere come uscirne, se non abbandonando i propri sogni. Ma anche lì, l’alternativa non cambia la prospettiva: perché, di fatto, il problema non sono i sogni che ci scegliamo, ma una società che non li accoglie, spremendo la tua spina dorsale e, addirittura, esasperando come un lusso l’idea dell’alternativa lavorativa. Una scelta dovrebbe essere un diritto, non un bene da dispensare a pochi.
Eppure, se provi a esporre certi dibattiti, vieni guardato male e in cagnesco. A me, prima della pandemia, quando raccontavo le paradossali condizioni proposte per lavorare, alcuni coetanei sussurravano di accettare, perché tanto bisogna sopravvivere e non vivere. Tutti concetti improvvisamente spariti quando tutti si sono accorti che vivere con 600 euro al mese (per chi ha avuto la fortuna di riceverli) è impossibile.
Questo problema di coesione sociale l’ho visto annullarsi lo scorso 5 luglio in Piazza San Giovanni, soprattutto quando dal palco ho sentito la storia di una giovane laureata in giurisprudenza sfruttata per quasi 7 giorni su 7 a 500 euro lordi al mese, con il tempo esiguo speso a provare a realizzare il sogno di diventare magistrata (per 2 volte fallito perché o scegli i 500 euro oppure vieni sbattuta a casa). Segno che, di qualsiasi settore si parli, c’è un problema di fondo culturale da superare.
Una vera conclusione a questo discorso non c’è, anche perché affronterei sempre le stesse invettive di equità sociale. Adesso a me viene da pensare solo a una persona: Francesca, la ricercatrice precaria dello Spallanzani che ha isolato il Coronavirus in Italia e che, solo grazie al clamore mediatico, è riuscita a ottenere la stabilità lavorativa. Senza di ciò, oggi, sarebbe riuscita a realizzare i suoi sogni?
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Foto degli Stati Popolari
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