Stress da Coronavirus, le storie: “Ecco ciò che mi ha lasciato la pandemia”

Nonostante la Fase 2 del Coronavirus sia ormai entrata nel vivo, gli effetti psicologici della pandemia sono sempre più acuti. E lo avevo già sottolineato in un mio recente articolo: secondo i dati dell’Istituto Piepoli, ad esempio, il 63% degli italiani soffrono di una condizione tra insonnia, mal di testa, mal di stomaco, ansia, panico e depressione.

Situazioni causate, appunto, da una dinamica di vita completamente ribaltata negli ultimi mesi. Tutto ciò non riguarda solo il ferreo lockdown al quale siamo stati sottoposti, ma anche le successive settimane di riapertura, che hanno fatto emergere le fragilità delle società contemporanee.

Stress da Coronavirus: le testimonianze

Ansia, stress, depressione: queste sono solo alcune delle condizioni mentali e psichiche destabilizzanti che, ad esempio, hanno costretto il Ministero della Salute ad attivare un numero di emergenza nazionale (gratuito) di supporto psicologico.

Tuttavia, lo stress da Coronavirus è molto più forte di un servizio che si basa su 4 telefonate con un esperto: siamo di fronte a una dimensione che ha sensibilmente aumentato la curva dei contagi di una pandemia sommersa, da sempre giudicata superficialmente dall’opinione pubblica. Per comprendere meglio la reale situazione che lo stress da Coronavirus sta causando, ho ascoltato la storia di diverse persone che, in forma anonima, hanno risposto ad alcune mie domande.

“La gente abusa della parola ‘ansia’, e ciò mi infastidisce”

Iniziamo il nostro viaggio parlando con una ragazza campana di 30 anni, la quale da diversi anni stava seguendo un percorso di terapia. “Proprio durante il lockdown – afferma – ho deciso di interromperla. Ho provato a fare sedute su Skype, ma non mi hanno fatto stare bene. Credo che a un certo punto la terapia si esaurisca. Inoltre, da quando sono in terapia, molti miei stati ansiosi sono paradossalmente aumentati”. Sentimenti che, durante la quarantena, sono accresciuti ancora di più. “Mi sono sentita spesso male perché non riesco a stare dentro casa. Ho vissuto in passato per parecchio tempo l’incubo di essere seguita, e stare dentro casa mi ha fatto venire molta ansia”.

Una sensazione di malessere che si lega molto a un “terrorismo psicologico” enfatizzato nelle prime settimane della quarantena, quando sui social (e non solo) impazzava il messaggio comune di restare a casa: “Bisogna ammettere che alcune persone dentro casa stanno male. Per me, ad esempio, è come una prigione. Dopo 2 mesi mi sono abituata, ma adesso ho il problema opposto”. Oltretutto, “non capisco perché molte persone famose non hanno fatto altro che pubblicare Stories in cui incitavano a restare a casa: ok, il messaggio è chiaro, ma non puoi fare la predica quando tu hai una casa di 250 metri quadri con terrazzo, giardino e balcone. Così è facile”.

Infine, una critica a chiunque utilizzi il concetto dell’ansia come un gioco tra amici: “Secondo me c’è un abuso della parola. Credo che alcuni la utilizzino per moda e sinceramente la cosa mi infastidisce. Le persone non hanno la minima idea di cosa sia l’ansia: è come una scimmia che ti senti attaccata alla spalla. Sta lì sempre. Tutti i giorni. Cerchi di farla dormire, ma sai che si sveglierà”.

“Alcune giornate le passavo a letto senza fare nulla”

“Per quanto riguarda lo stress da Coronavirus, ho cercato di limitarlo tenendomi occupato il più possibile – ci racconta un ragazzo campano di 29 anni -. Ho scritto articoli, ho ripassato un po’ di inglese da autodidatta, ho letto libri e ho provato anche a imparare a suonare la chitarra. Ma ci sono stati momenti in cui la voglia di tenersi occupato era poca o niente, tant’è che in alcune giornate sono rimasto steso a letto senza fare niente“.

Un quadro molto più generale di quanto si pensi. In effetti, la stessa Onu ha certificato che condizioni psicologiche di questo tipo sono in aumento. Una vera e propria dinamica che entra in contrasto con un giudizio farisaico dell’opinione pubblica su problematiche di questo tipo. Chiedo alla mia fonte se, a suo avviso, ci sarà mai un cambiamento culturale in merito: “Spero di sì, anche se ho il timore che questi problemi molto limitanti in campo lavorativo e sociale possano essere presi nuovamente sottogamba”.

“Io, all’estero, ho sentito maggiore pressione nelle scelte”

Essere lontani da casa può sicuramente destabilizzare qualsiasi persona. Essere lontani da casa, per giunta durante una quarantena, può creare maggiore ansia e stress. Siamo riusciti a parlare anche con una 23enne piemontese, localizzata oggi nel Regno Unito, per capire come lo stress da Coronavirus abbia colpito la sua vita privata.

“Inizialmente – ci racconta – mi sentivo motivata e felice di poter dedicare del tempo a me stessa. Nell’ultimo periodo, invece, mi sento stanca anche senza fare realmente niente di che. Mi sono chiusa moltissimo, ho avuto spesso momenti di crisi e anche la convivenza mi ha creato problemi, perché poi devi dar conto anche a tutte le cose che fa/pensa l’altra persona e non dice esplicitamente”.

In questo caso, abbiamo a che fare con una persona che, prima del lockdown, non seguiva un percorso di terapia. “Ci ho pensato seriamente durante la quarantena – ammette -, ma qui mi è sembrato difficile potermi rivolgere a qualcuno. Di recente, ho contattato una psicoterapeuta che fa terapie a distanze”. “Non ho mai pensato di poter stare peggio di altre persone – prosegue -. Con maggiore probabilità, penso di aver sentito la pressione delle scelte da prendere: restare all’estero o tornare in Italia? A oggi, mi sono pentita di essere rimasta qui, forse la mia calma è sottovalutata, ma per me è spesso giusto aspettare e decidere dopo aver osservato”. 

E chissà quante altre storie sommerse ci sono e su cui bisognerebbe apporre la nostra attenzione.

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