La cultura dell’odio è ormai una becera realtà. Anche se, di fatto, era già permeata nella nostra società, ma circoscritta nelle quattro mura del bar di quartiere. Da diversi anni, tuttavia, alcune persone hanno iniziato a utilizzare i social network in modo scellerato, mostrandosi prima come bestie e poi come esseri umani. Ogni giorno, a causa di vari fatti di cronaca, assistiamo a una parte dell’opinione pubblica dedita a vomitare la propria violenta ‘opinione‘, incurante persino delle possibili ritorsioni legali.
Quali sono le conseguenze della cultura dell’odio?
Le conseguenze della cultura dell’odio sono di fronte ai nostri occhi ogni giorno, purtroppo. Il sentimento di ostilità per la diversità è stato autolegittimato soprattutto dai comportamenti di cariche istituzionali e personaggi pubblici. Quest’ultimi, infatti, hanno semplicemente cavalcano l’onda del nervosismo e della delusione sociale. Un contesto riaffermatosi con particolare forza in frange di estremismo rabbioso, in cui il colore della pelle, la razza, il lavoro e l’estrazione sociale diventano etichette da stereotipare, generando confusione e disorientamento.
Il caso di Federico Ruffo
Il 4 aprile scorso, a Perugia, ho chiacchierato per 30 minuti con Federico Ruffo, giornalista di Report e autore de Una signora alleanza, inchiesta sulla morte di un collaboratore della Juventus coinvolto nel bagarinaggio e su rapporti tra ‘ndrangheta, ultras e alcuni dirigenti bianconeri. A causa di ciò, ricevette minacce abbastanza serie: una notte, qualcuno versò della benzina sulla porta della sua casa e disegnò su un muro una croce rossa.
La mia intervista è ruotata attorno a un concetto: dietro la figura di un giornalista (o “Radical Chic”, come piace dire a qualcuno) si cela un essere umano, il cui lavoro scopre illeciti che riguardano la comunità intera. Nonostante ciò, si becca delle intimidazioni, oltre a insulti e auguri di morte perpetrate sui social.
Una chiacchierata che è diventata un’esperienza, al pari di quella fatta a Federica Angeli. Siamo di fronte a persone che devono convivere con delle paure abbastanza particolari, le quali nascono (paradossalmente) quando fai il tuo lavoro – e lo fai bene.
“Indivisibili”, la manifestazione di Ostia
Nella notte tra il 3 e il 4 marzo scorso, a Ostia Lido, una gang di 12 ventenni ha massacrato di botte un 17enne italiano (di origine africana) mentre portava a spasso il cane. Il motivo? Aveva la pelle di un altro colore. Tra le lesioni, c’è la frattura del bacino e della mandibola, la lussazione della spalla e la rottura di un dente.
Il 6 aprile 2019, sempre a Ostia Lido, è andata in scena una manifestazione antirazzista e antifascista nata dagli studenti e dalle associazioni locali per dire basta a queste oscenità. Un evento ancora più significativo se pensiamo al territorio di cui stiamo parlando. Anche io sono sceso in piazza, e ho potuto toccare con mano quanto la cultura dell’odio sia una battaglia nevralgica da affrontare. I
livelli che stiamo raggiungendo sono destabilizzanti e preoccupanti. La risposta del litorale romano dovrebbe essere esemplare per tutti. “Non ci fa paura il diverso. rivolgiamo la libertà che abbiamo perso”.
Un abbraccio contro la cultura dell’odio
Mentre lavoravo alla realizzazione del reportage sulle conseguenze della cultura dell’odio, ho ritrovato questo scatto. Il tenero abbraccio tra due giovani, per me, è un simbolo. In tempi in cui le azioni violente sono ormai all’ordine del giorno come risposte autolegittimate dal rancore e dall’odio per il diverso, credo che reggersi l’un l’altro sia la chiave da condividere per migliorare la società attuale e riscoprire ciò che siamo: esseri umani ed esseri amanti. Ama il prossimo tuo.